Le lezioni di PilaHarmonic non si basano strettamente su una concatenazione sempre uguale di esercizi propedeutici l’uno all’altro.
C’è sempre, sicuramente, una parte iniziale di preparazione a svolgere tutti gli esercizi al meglio, che coinvolge la respirazione, l’entrare in contatto con il corpo, il prendere coscienza del respiro e del movimento, il sistemare la colonna vertebrale e darle mobilità. Però poi spetta molto all’insegnante saper valutare, di volta in volta, quali esercizi inserire – anche al momento – in relazione alla classe o alla singola persona che si ha di fronte.
Questo presuppone che si formi anche un rapporto “empatico” fra l’insegnante e l’allievo, che permetta di cogliere le esigenze di un gruppo o di un individuo. E’ un fatto interessante, perché pone sempre l’insegnante nell’ottica di dover “creare” qualcosa anche durante le lezioni stesse, o ricombinare gli esercizi, o ancora modificarli.
Ciò, da un lato, è un grande vantaggio, perché le lezioni risultano molto dinamiche, o quanto meno molto diverse l’una dall’altra. D’altro lato, per l’insegnante è una palestra difficile, perché bisogna essere il più possibile “in contatto” con gli allievi.
Da un certo punto di vista, tutto questo rende il metodo del PilaHarmonic e il suo insegnamento un poco più complesso, perché non essendo un metodo rigido ma molto basato sulla sensibilità, sulla capacità di interpretare e reagire, e anche sulla fantasia dell’istruttore, occorre che chi intende studiarlo possegga queste caratteristiche, e sia in grado di metterle in gioco proprio durante l’esecuzione delle lezioni. Chiaramente esiste un canovaccio di esercizi-base (che sono poi, in gran parte, gli stessi esercizi del Pilates) ma una peculiarità è rappresentata proprio dall’intento degli esercizi e dalla loro combinazione. Ne deriva che le lezioni possono essere molto diverse l’una dall’altra, come finalità e come risultato.
La foto è di Cliff Booth
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